In un’epoca in cui la condivisione va di moda, quella che insegniamo ai nostri bimbi fin da piccoli e quella che la nostra società iper-veloce ci propone nelle forme più svariate (car sharing, bike sharing, home sharing e perfino food sharing), oggi anch'io voglio parlarvi dell’esperienza di condivisione della nostra famiglia. Noi pratichiamo il tata sharing!
Ebbene sì. Come molte famiglie, abbiamo una tata che ci aiuta nelle faccende domestiche e nell'organizzazione con i bimbi. Ma la nostra tata è anche la tata di un’altra famiglia.
La storia è nata un po’ per caso, così come la nostra amicizia con loro.
Eravamo amici in comune degli sposi ad un matrimonio, con i rispettivi figli della stessa età e per questo finiti nello stesso hotel riservato agli invitati con prole al seguito – bellissimo, per carità, - ma ben distinto dall'albergo dove soggiornavano le giovani coppie senza pargoli. Tommaso avrebbe compiuto 2 anni alla fine dell’estate e io avrei partorito il mese dopo il suo compleanno. Eravamo in vacanza a pochi chilometri dal luogo dove si sarebbero svolte le nozze, i due sposi sono dei nostri cari amici, io adoro i matrimoni, tant'è che ci era sembrato più che naturale accettare l’invito.
La suddetta famiglia aveva anche la tata al seguito e mi ricordo che la cosa all'epoca mi colpì molto. Che bisogno c’era di portarsi una sconosciuta a una festa intima per badare ad una bimba che in fondo quali problemi avrebbe potuto mai dare?
Pivella. Sì, all'epoca ero ancora una mamma al livello principianti. Ma devo dire che quel matrimonio è stato un importante banco di prova oltre che un’esperienza cruciale.
Durante la cerimonia, i bimbi hanno iniziato subito a giocare insieme, senza creare particolare caos, mentre i parenti e gli amici più stretti degli sposi si alternavano con discorsi commoventi. Sembrava una situazione ideale per il proseguo della serata, in cui i due bambini si sarebbero fatti compagnia a vicenda.
Invece no. Il programma dell’altra famiglia, prevedeva che la loro bimba cenasse tranquilla in albergo con la tata e che al suo solito orario andasse a letto tranquilla.
Eccesso di zelo, pensai.
Tommaso si addormentò in macchina mentre raggiungevamo il luogo del ricevimento. Continuò a dormire beato nel suo passeggino mentre noi sorseggiavamo l’aperitivo e perfino mentre gustavamo un corposo banchetto degli antipasti. Tutto sembrava procedere perfettamente (pure troppo), finché non ci trovammo seduti al tavolo in attesa della prima portata e Tommy si svegliò importunato dalla musica, urlando disperatamente per il disturbo e la fame. Solo in quel momento mi resi conto che i bambini presenti si contavano sulla punta delle dita ed erano tutti più grandicelli.
Tra il nostro imbarazzo più o meno evidente (decisamente più), Tommaso continuò a piangere negli interminabili minuti che il cameriere impiegò per portargli un piatto di pasta e continuò a piangere anche quando arrivò, perché ormai era troppo contrariato anche solo per mangiare. Gli altri commensali dispensavano teneri sorrisi al bambino e sguardi di rimprovero alla scellerata madre. Replicai ai commenti di disapprovazione fuori luogo di altri genitori che quella sera giocavano a fare la coppietta, mentre noi - crudeli - facevamo cenare quel povero bambino alle dieci di sera e a mezzanotte, carico dal lungo pisolino, lo lasciavamo ballare in mezzo a tutti gli altri invece di portarlo a nanna.
Non possiamo certo dire di essercela goduta, ma siamo sopravvissuti a quella serata.
Non è da allora che abbiamo una tata. Ma da quella sera ho imparato che forse a volte è giusto delegare e prendersi un po’ di spazio insieme al maritino.
Dopo quella sera, siamo tornati a Milano, è nata Ludovica, abbiamo continuato a vedere quella famiglia. Siamo diventati amici e quando hanno deciso di rivedere gli orari della tata e ci hanno proposto lo sharing abbiamo accettato volentieri.
Io ero appena rientrata al lavoro dopo la maternità ed è stato subito chiaro che con due bimbi piccoli la gestione casa-bimbi-lavoro necessitava il passaggio ad un livello successivo.
Ebbene sì. Come molte famiglie, abbiamo una tata che ci aiuta nelle faccende domestiche e nell'organizzazione con i bimbi. Ma la nostra tata è anche la tata di un’altra famiglia.
La storia è nata un po’ per caso, così come la nostra amicizia con loro.
Eravamo amici in comune degli sposi ad un matrimonio, con i rispettivi figli della stessa età e per questo finiti nello stesso hotel riservato agli invitati con prole al seguito – bellissimo, per carità, - ma ben distinto dall'albergo dove soggiornavano le giovani coppie senza pargoli. Tommaso avrebbe compiuto 2 anni alla fine dell’estate e io avrei partorito il mese dopo il suo compleanno. Eravamo in vacanza a pochi chilometri dal luogo dove si sarebbero svolte le nozze, i due sposi sono dei nostri cari amici, io adoro i matrimoni, tant'è che ci era sembrato più che naturale accettare l’invito.
La suddetta famiglia aveva anche la tata al seguito e mi ricordo che la cosa all'epoca mi colpì molto. Che bisogno c’era di portarsi una sconosciuta a una festa intima per badare ad una bimba che in fondo quali problemi avrebbe potuto mai dare?
Pivella. Sì, all'epoca ero ancora una mamma al livello principianti. Ma devo dire che quel matrimonio è stato un importante banco di prova oltre che un’esperienza cruciale.
Durante la cerimonia, i bimbi hanno iniziato subito a giocare insieme, senza creare particolare caos, mentre i parenti e gli amici più stretti degli sposi si alternavano con discorsi commoventi. Sembrava una situazione ideale per il proseguo della serata, in cui i due bambini si sarebbero fatti compagnia a vicenda.
Invece no. Il programma dell’altra famiglia, prevedeva che la loro bimba cenasse tranquilla in albergo con la tata e che al suo solito orario andasse a letto tranquilla.
Eccesso di zelo, pensai.
Tommaso si addormentò in macchina mentre raggiungevamo il luogo del ricevimento. Continuò a dormire beato nel suo passeggino mentre noi sorseggiavamo l’aperitivo e perfino mentre gustavamo un corposo banchetto degli antipasti. Tutto sembrava procedere perfettamente (pure troppo), finché non ci trovammo seduti al tavolo in attesa della prima portata e Tommy si svegliò importunato dalla musica, urlando disperatamente per il disturbo e la fame. Solo in quel momento mi resi conto che i bambini presenti si contavano sulla punta delle dita ed erano tutti più grandicelli.
Tra il nostro imbarazzo più o meno evidente (decisamente più), Tommaso continuò a piangere negli interminabili minuti che il cameriere impiegò per portargli un piatto di pasta e continuò a piangere anche quando arrivò, perché ormai era troppo contrariato anche solo per mangiare. Gli altri commensali dispensavano teneri sorrisi al bambino e sguardi di rimprovero alla scellerata madre. Replicai ai commenti di disapprovazione fuori luogo di altri genitori che quella sera giocavano a fare la coppietta, mentre noi - crudeli - facevamo cenare quel povero bambino alle dieci di sera e a mezzanotte, carico dal lungo pisolino, lo lasciavamo ballare in mezzo a tutti gli altri invece di portarlo a nanna.
Non possiamo certo dire di essercela goduta, ma siamo sopravvissuti a quella serata.
Non è da allora che abbiamo una tata. Ma da quella sera ho imparato che forse a volte è giusto delegare e prendersi un po’ di spazio insieme al maritino.
Dopo quella sera, siamo tornati a Milano, è nata Ludovica, abbiamo continuato a vedere quella famiglia. Siamo diventati amici e quando hanno deciso di rivedere gli orari della tata e ci hanno proposto lo sharing abbiamo accettato volentieri.
Io ero appena rientrata al lavoro dopo la maternità ed è stato subito chiaro che con due bimbi piccoli la gestione casa-bimbi-lavoro necessitava il passaggio ad un livello successivo.
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