Passa ai contenuti principali

La Rabbia

Una delle prima volte che abbiamo sfogliato “I colori delle emozioni”, ho chiesto a Tommaso quale fosse la sua emozione preferita. Lui ovviamente ha risposto la Rabbia.
Il personaggio della Rabbia, così come viene rappresentato nei libri o nei film, è quello che diverte di più i bambini, forse perché con quel suo musone risulta il più buffo o perché si riconoscono nei suoi scatti furiosi. O forse perché alla fine, dopo la Gioia, è l’emozione più facile da spiegare. Tommaso era ancora al nido quando abbiamo scoperto il libro “Che Rabbia!” di Mireille d’Allancé.


Roberto, il protagonista, è un bambino come tanti.
La storia inizia con lui che torna a casa dopo aver passato una bruttissima giornata, ad attenderlo per cena ci sono suo papà che lo rimprovera per le scarpe sporche lanciate a caso e gli odiatissimi spinaci. Quando Roberto dichiara di non voler mangiare le antipatiche verdure, il padre lo invita ad andare in camera sua ed è là, nella sua cameretta, che il bambino sente una Cosa incontenibile dentro di lui, una Cosa che, grande com'è, fa male ed è quindi difficile da tenere tutta dentro.
La Cosa sale, sale, sale… per poi uscire dalla bocca come un urlo disperato, prendendo la forma di un mostro rosso con due occhi neri che fanno paura.


In un primo momento, quando la Cosa terribile esce dalla sua bocca, Roberto la guarda perplesso, non sa ancora quello di cui può essere capace, non riesce a governarla ed è così che il mostro rosso distrugge tutto quello che trova: il comodino, la lampada, lo scaffale con i libri. Roberto riesce a riprendere il controllo quando la Cosa si avvicina al suo baule dei giocattoli e distrugge il suo camion preferito.
Solo in quel momento il ragazzino riesce a vedere la Rabbia in tutta la sua grandezza e capacità distruttiva, e la manda via cercando di aggiustare tutti gli oggetti rotti, compreso il suo camion. La Cosa allora diventa sempre più piccola fino a entrare in una scatolina, dove Roberto la conserverà.

Come riconoscere e gestire questa “Cosa”? 

Nel libro la Cosa non viene mai chiamata Rabbia ed in effetti anche Tommaso, fino a qualche tempo fa non la chiamava così. Per lui era una Cosa altra da Roberto, che viene fuori quando ci si arrabbia. Perché nonostante le critiche a questo libro, ritengo che abbia la capacità di mostrare la rabbia per quello che è: un sentimento che, possiamo dire senza ipocrisia, colpisce grandi e piccini, che spesso non riusciamo a governare e che alcune volte ci fa rompere oggetti.
La cosa bella di questo libro è proprio la capacità di materializzare la Rabbia, di darle un nome e mostrare ai bambini le cose di cui è capace.


Anche grazie a illustrazioni indovinate, i bambini possono vedere la vera faccia di quell'emozione che rende la giornata o anche solo alcuni momenti di essa, sgradevoli e fa ribollire il pancino, proprio come accade a Roberto, che fortunatamente però, alla fine della sua brutta giornata, ritrova il buon umore e si concede un pezzo di torta con il papà.
Accade a volte, che noi genitori, troppo presi dagli “affari da grandi”, non capiamo subito cosa stia accadendo al nostro bambino oppure riteniamo che non ci sia un motivo valido per il quale i nostri piccolini possano sentirsi arrabbiati. La verità è che vorremmo sempre vederli sereni e felici, ma la rabbia è un’emozione che può colpire anche i bambini e ciò che dovremmo provare a fare non è raccomandare loro di non arrabbiarsi, ma piuttosto insegnargli a vivere il proprio momento di rabbia con la consapevolezza che è passeggero. Che la tempesta poi passa.
Solo tranquillizzandolo, il bambino imparerà a gestire la rabbia e potrà essere in grado di affrontarla tutte le volte che nella vita gli si proporrà.

Un trucco per affrontare la Rabbia.

Questo libro ha un grande potere liberatorio, che si rivela nel momento in cui Roberto riprende il controllo, scaccia il mostro e prova a rimettere insieme i pezzi dei suoi giocattoli.
L’autrice in questo modo sottolinea un aspetto molto importante e positivo che può seguire il momento di ira, quello della riparazione, cioè la possibilità che ci viene data di poter riparare ai nostri errori.
La scatolina assume qui un valore simbolico molte forte: un contenitore in cui incanalare i brutti sentimenti e pensieri che ci attraversano per riuscire a gestirli.
Le educatrici del nido avevano realizzato insieme ai bambini la scatola della Rabbia che noi conserviamo ancora.
Una scatola dove riporre la Rabbia quando questa si presenta.
Ci sono pareri discordanti su questa scatola, qualcuno la interpreta come un mezzo per reprimere la rabbia. A mio parere è l'emblema della capacità di gestirla.
Si tratta di un piccolo stratagemma per esternare l’emozione.
Basta utilizzare una scatola qualunque (delle scarpe, un cestino, un sacchetto) che il bambino può personalizzare come vuole e metterla in un posto facilmente accessibile.


Quando il bambino si arrabbia, possiamo provare a chiedergli di indirizzare la sua rabbia verso la scatola, sia riempiendola di oggetti a portata di mano o simbolici della rabbia stessa. In questo modo il bambino potrà poi chiudere la scatola e metterla al suo posto.
Nel momento in cui la crisi sarà passata, sarà possibile affrontare l’evento in maniera più razionale cercando di capire i motivi per i quali si è arrabbiato.

Un’alternativa alla scatola della rabbia è il barattolo montessoriano della calma, ovvero un barattolo di vetro, pieno di brillantini colorati, di solito di colore verde.
Scuotere il barattolo e vedere fluttuare i brillantini ha un effetto tranquillizzante e quasi magico che aiuterà a calmare i bambini.

La soluzione migliore. 

Di solito, quando una persona, sia un adulto o un bambino, ha avuto una giornata storta e si sente arrabbiato dovrebbe avere la possibilità di trovare conforto nelle persone a lui più care e vicine.
C’è chi ha voglia di parlare e si aspetta di essere ascoltato o chi si chiude in sé stesso per ritrovare la calma e l’armonia.
In ogni caso, ciò che si aspetta dall'altra parte è comprensione.
Generalmente un adulto riesce a capire cosa gli sta accadendo, un bambino di 4, 5 o 6 anni fa più fatica ed è compito nostro aiutarlo a capire che anche quella sensazione di stranezza che prova fa parte della normalità.
Cado anche io spesso nell'errore di ritenere che quel pianto disperato o quella crisi di nervi sia solo un capriccio e a volte ci metto un po’ a rendermi conto che anche loro stanno vivendo un momento di rabbia, proprio come capita anche a me. E proprio come succede a noi, mai limitarsi a dire “calmati!”, perché ahimè, si ottiene sempre l’effetto contrario.
Quando capisco cosa sta succedendo a una delle mie pigiapesti, la prima soluzione che mi viene in mente è abbracciarli. Stringere a sé chi si sente in difficoltà è sempre una mossa disarmante per l’altro e di grande conforto.
C’è una frase che ho letto nel libro “I bambini devono essere felici. Non farci felici.” di Elisabetta Rossini ed Elena Urso che trovo sia estremamente calzante per esprimere ciò che intendo.

“Abbracciare un bambino felice è semplice, perché ci prendiamo un po’ della sua gioia. 
Abbracciare un bambino arrabbiato lo è meno. 
Ma è proprio in questi momenti che bisogna abbracciare quel bambino per prendersi un po’ della sua rabbia.” 

Voi come vi comportate quando i vostri bambini sono arrabbiati?

Commenti

Post popolari in questo blog

I colori delle emozioni

A casa nostra il momento preferito per leggere è indiscutibilmente quello prima di dormire. Il rito della buonanotte prevede che, dopo aver lavato i denti, i bimbi scelgano la favola da leggere , non senza diverse diatribe e discussioni. La maggior parte delle volte, le storie sono due, perché loro sono due, perché in quel momento ognuno vuole leggere il racconto che non sta leggendo l’altro, ma soprattutto perché ogni ragione è buona per posticipare il fatidico incontro con Morfeo. C’è un libro che piace molto a entrambi e quando uno dei due lo sceglie, riesce stranamente a mettere d’accordo anche l’altro. Si tratta de “I colori delle emozioni” di Anna Llenas, un libro pop-up che prova a fare ordine fra i vari stati d’animo in maniera creativa ed originale. Tutti noi, adulti e bambini, proviamo nel corso della vita diverse emozioni : gioia , rabbia , tristezza , paura . Ognuno di noi però le elabora e le gestisce in modo diverso. La capacità di individuare, riconosce

Slingback per tutte!

In questi giorni ero alla ricerca di un paio di scarpe eleganti ma non troppo, originali ma anche semplici, pratiche ma non sportive. Insomma: un’impresa! Ma quando si tratta di scarpe, non c’è missione impossibile che tenga. Noi donne sicuramente ne usciamo vincitrici e con una scatola di scarpe nella shopper! E così è stato anche questa volta. Sfogliando riviste di moda e buttando un occhio su internet, ho scoperto il ritorno delle slingback ! Innanzitutto ho scoperto il loro vero nome. Io le ho sempre chiamate Chanel , in onore dell’inimitabile Coco Chanel che le ha inventate poco più di 60 anni fa. Le scarpe con il tacco medio, chiuse in punta, aperte sul retro, sigillate da un cinturino sottile dietro la caviglia e realizzate per la prima volta all'epoca (correva l’anno 1957) in pelle bicolore: nero e beige, le nuance emblema della maison. Scarpa-icona Chanel bicolore (1957) Io ho almeno due slingback tra la mia collezione di scarpe: una è rosa cipria e l’altr

Ninnananna Ninna-o

I bambini sono abitudinari e costruire la routine permette loro fin da piccoli di interiorizzare lo schema della giornata e sapere cosa aspettarsi nel prossimo futuro. In questo modo si riduce moltissimo l'ansia del non sapere che cosa accadrà: per il bambino la routine è rassicurante , gli permette di sentirsi in un ambiente con delle certezze e delle costanti. La routine gli dà la sicurezza che i suoi bisogni saranno soddisfatti, così inizierà da solo a cercare nell'ambiente dei punti di riferimento spazio-temporali per orientarsi in maniera sempre più precisa e consapevole. Ok. Questa è la teoria. La capisco e la condivido e ho sempre cercato di scandire una routine per i miei bambini: la routine della pappa, quella del bagnetto e quella della nanna. O meglio, in linea di massima, cerchiamo di fare le cose nello stesso ordine e con tempi e modalità che si ripetono, ma non sono mai stata troppo rigida, perché ritengo anche che i bambini debbano imparare ad essere f